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Storia, Cultura e CostumePerché i salumi si chiamano così?

Perché i salumi si chiamano così?

Perché i salumi si chiamano così?

Perché chiamare salame una persona equivale ad un’offesa? Qual è la mortadella più famosa? Conoscere l’origine dei nomi di quel che si mangia, spesso, permette di apprezzarne ancor più il valore.

Ogni parola ha un significato preciso, frutto di una storia che racconta molto del prodotto e anche di noi stessi. Gli uomini capirono che per conservare bene i cibi i metodi erano due: essiccazione con affumicatura oppure l’uso del sale. Lo capirono migliaia di anni fa: almeno 6000, visto che i primi ritrovamenti di salumi risalgono alla Cina del 4000 A.C.

In alcune parti d’Europa, tra cui l’Italia, l’uso del sale fu predominante per la lavorazione delle carni del pesce e dei formaggi. Per questo motivo la parola salumi deriva da salumen, “insieme di cose salate”.

Come mai il sale?

Per le sue proprietà igroscopiche, ossia la sua capacità di assorbire le molecole d’acqua presenti nell’ambiente circostante. Sottraendo acqua agli alimenti, elimina la possibilità di vita dei microrganismi e dei patogeni, riducendo il proliferare dei batteri. Più bassa è la carica microbica, più sicuro è un alimento che ingeriamo.

Prosciutto, mortadella e salame, con le loro molte declinazioni, nascondono nella loro etimologia interessanti sorprese.

Prosciutto

Prosciutto sta per prosciugato. L’etimologia deriva dal metodo di lavorazione: una volta macellata, la coscia del maiale viene messa a raffreddare, e salata. Secondo alcuni etimologi, la parola è composta dalla particella pro – che indica anteriorità – e dal verbo latino exsuctus, participio passato di exsugere (spremere, inaridire).

Interessante vedere l’etimologia di questa parola in terra spagnola, dove prosciutto si dice Jamon, che deriva dal francese jambon, che a sua volta deriva dal tardo latino che significa gamba (quindi coscia), che a sua volta viene dal greco καμπή (curvatura, articolazione). In inglese prosciutto si dice ham: derivazione del protogermanico hamma, che significa “gambo”.

Mortadella

La più famosa nel mondo è quella bolognese e la sua ricetta risale al XVII secolo e viene attribuita al bolognese Vincenzo Tanara. Ancora oggi rimane praticamente identica, tranne per il dimezzamento della percentuale di lardo (15%).

Il suo nome ha due ipotesi. La prima deriva dal latino myrtatum ed indica la pianta di mirto che, in passato, veniva utilizzata per aromatizzare questo salume (la pratica risalirebbe all’epoca dell’Impero Romano). La seconda deriverebbe invece da mortarium (mortaio), l’utensile usato per schiacciare la carne di maiale.

Salame

“…porchos viginti a carnibus pro sallamine…”, ovvero venti maiali per farne salami. È questa la prima citazione del termine salame ed è risalente al 1436 da parte di Niccolò Piccinino (un condottiero al soldo del duca di Milano) di stanza a Parma. Prima di allora, i salumi erano denominati, indistintamente, botulus o insicia.

Il 1581 segna la data in cui la parola salame compare per la prima volta in un manuale di cucina. A citarlo è Vincenzo Cervio, trinciante di Casa Farnese, che utilizzò questo termine per designare un insaccato costituito da carne e grasso di maiale, condito con sale e pepe in grani, insaccato in un budello e conservato per un periodo che poteva variare, secondo il grado di stagionatura che si desiderava ottenere.

Anticamente, con il termine salamen, si indicava il pesce salato, ovvero lo stoccafisso o baccalà.  Pesce salato che, fino al Quattrocento, era venduto nelle botteghe dei Lardaroli, insieme alla carne e ai salumi. Quindi con salamen si indicava sia il baccalà che i diversi insaccati.

A livello gergale quindi, baccalà e salame erano semanticamente corrispondenti. Ecco perché fino ad oggi dare del salame o del baccalà equivale a indicare una persona insulsa ed ottusa. Entrambi, baccalà e salame, hanno una consistenza dura che rimanda alla cocciutaggine tipica dello sciocco e per questo soprannominato, indifferentemente, sia salame che baccalà.

È proprio vero che mangiar bene è un atto di alta cultura.

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